È sempre una esperienza particolare partire con Benito Brandolini del Gruppo CAI Forrest Gump di Ravenna. Sai quando entri nel bosco, ma non quando ne uscirai. Sai che sentiero prendi, ma non se il percorso sarà agevole, tranquillo. È tutto un imprevisto, una scoperta nella scoperta, uno sperimentare, anche per Benito che i percorsi li conosce. Ma non è un suo demerito, anzi, Benito si destreggia molto bene, con strumenti tecnologici ed intuito, per fronteggiare gli ostacoli predisposti dalla natura.

La natura… non può essere dominata. Quando decide di riprendersi i propri spazi, agisce, a discapito o a favore di chi decide di affrontarla, di conoscerla. E per gli avventori che osano avventurarsi, a volte possono prospettarsi anche dei cambi di rotta, delle circumnavigazioni di frane, delle deviazioni non segnalate sulle carte e nemmeno sui cartelli escursionistici. Benito lo sa, e noi, che lo seguiamo con fiducia, ne siamo complici, perché sappiamo che ci attenderanno delle sorprese, forse fatica in più di quella preventivata, emozione senz’altro.
Il giro di questa domenica parte dalla chiesa di Spinello, una località del comune di Santa Sofia. Siamo in alto, ai nostri piedi scorre il torrente Borello, un affluente del Savio. Questo torrente nasce alle pendici del Passo del Carnaio e confluisce nell’omonima località, frazione di Cesena. Di fronte alla chiesa c’è una scultura particolare. Una campana in bronzo che rappresenta la pace e sulla quale sono incise poesie di autori contemporanei. Dopo la visione di questo curioso artefatto, ci incamminiamo su una carraia e Benito ci mostra l’ingresso di un bunker.

La località di Spinello è stata scelta da una setta come rifugio, durante il periodo che precedeva quella che si credeva dovesse essere una catastrofe, la fine del mondo. La famosa profezia Maya del 21 dicembre 2012.

Il mondo è rimasto, ed anche i bunker costruiti per scampare da questo evento. Continuiamo il percorso su una strada bianca che scende verso un rudere e un allevamento di polli. Mi meraviglio, osservando il paesaggio appenninico che si staglia alla nostra destra.
Scorgo i segni della natura che sta esplodendo nella rigogliosità della primavera: fiori di campo, prati verde brillante. Vedo i fiori gialli di tarassaco, alcuni già trasformati nel classico “plumino” da soffiare… proprio come i bambini felici e ingenui.

Ci sono i gialli botton d’oro, le orchidee selvatiche, alcune sparute primule. È tutta una sorpresa, una gioia.

E fra queste, anche un mistero che mi si para davanti, mentre scendo. Una fonte, una vena d’acqua, sgorga dalla strada, creando una piccola pozzanghera fangosa dalla quale gorgogliano delle bollicine di aria.

È l’acqua sotterranea che vuole uscire; ci metto dentro le dita, voglio vedere e sentire bene questo miracolo. E mentre tocco quell’acqua che con sagacia scorre a riunirsi ad altra acqua, per confluire verso un destino comune, ho un barlume di parole e sentimenti che invadono il mio cuore. Insieme a quella sorgente, nasce una poesia. Io mi sento come quel rivolo di acqua che esce allo scoperto per vivere una vita propria nella luminosità. Io, come l’acqua, prorompo, fuori, dopo aver accumulato una forza interiore, una spinta verso l’alto.
Fonte
Come l’acqua
Bisognosa di emergere
Per vedere la luce
E scorrere giù
Verso il mare
Nella conoscenza
Nella libertà
Continuiamo a camminare, scendendo sulla strada principale e poi giù, verso il torrente Borello.


Lo attraversiamo su un ponte e poi notiamo una grotta con all’interno una statua della Vergine di Lourdes.

Le goccioline che scendono dalla montagna creano una suggestiva pioggerellina proprio davanti alla statua. È un idillio, sia il suono che la visione. In questo punto l’acqua del fiume scorre impetuosa, fra piccole cascatelle e la si ode fluire con un suono soave, carico di vita che vuole andare, non sta ferma, è libera. Mi riconosco in questo movimento. È un continuo rinnovamento, come una rinascita. Dopo aver sorpassato un vecchio mulino, ora adibito ad abitazione e perfettamente restaurato, proseguiamo il giro.
Queste passeggiate non sono solo una scoperta di posti e attività fisica. Smuovono qualcosa dentro all’animo. Una sorta di impulso al fare, al rifuggire qualsiasi tipo di immobilità. Ne sono grata, a me stessa perché mi metto continuamente in gioco per emergere dal buio, come quella fonte. Ci dirigiamo ancora lungo il torrente, lo guadiamo sui sassi o direttamente con i piedi in acqua, per più volte, lo seguiamo controcorrente.
C’è un mulino più a monte, siamo diretti lì. Ma, ecco sparire il sentiero. Una frana. Bisogna passare oltre. Benito cerca la traccia con il GPS. C’è, ma è oltre il cumulo di detriti e di terra che è sopra di noi. Bisogna arrivare in cima, non c’è altra scelta.

Arrampicarsi, aggrapparci agli alberi, agli arbusti, alle ginestre, afferrando tenacemente anche le radici. È faticoso. È meglio non guardarsi indietro. Stiamo salendo ad una pendenza molto elevata, a più del 70% probabilmente. Benito e gli altri escursionisti più esperti aiutano tutti noi. Le due bimbe di 10 anni che sono con noi sembrano due folletti, non battono ciglio, senza una parola arrivano in cima con agilità. Una volta sormontato questo ostacolo, guardiamo in basso. Siamo ansimanti, ma felici. Scendiamo finalmente giù, attraverso un sentiero un po’ accidentato, fra pungitopi, ginestre e ginepri e arriviamo al mulino. È un posto bellissimo. C’è un melo con profumatissimi fiori bianchi.

C’è il ciliegio che si sta preparando al banchetto di fine primavera. Siamo nel posto giusto per pranzare con i panini e anche con il buon Sangiovese di Giampaolo. Dopo la sosta, riprendiamo la passeggiata, costeggiando e guadando agevolmente ancora il torrente Borello ed arrivando ad una casa disabitata. Si susseguono i campi arati, alternati da prati fioriti. Siamo stanchi. C’è chi scende di nuovo al fiume a visitare l’ultimo mulino. Io e altri aspettiamo su, ormai siamo esausti. Ultimo strappo ed eccoci sulla provinciale, a un km dal paese di Spinello. Vi arriviamo che sono ormai le 17,30. Le mie gambe gridano vendetta. Abbiamo percorso 17 km con un dislivello di 700 metri. Ma il mio spirito è sazio e porterò anche stavolta questa esperienza nel bagaglio dei miei ricordi e delle mie emozioni, con l’entusiasmo crescente per nuove avventure da sperimentare nel futuro che mi attende.
Chiara Dall’Ara
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